Croce di legno, ricavata dal tronco di un albero di gelso. Il legno ha circa 60 anni ma ha assunto l’attuale forma di croce solo 3 anni fa.
Provenienza: Polignano a Mare (Bari), via Palmiro Togliatti - 24, giardino di casa.
Posizione attuale: Belluno , Via dei Molini -7, sala da pranzo della mia nuova casa.
Dai ricordi tramandatimi da mio padre, fu mio nonno a piantare l’albero di gelso, circa 60 anni fa, nell’appezzamento di terreno coltivato a conduzione famigliare. L’albero era posizionato di fronte a due abitazioni rurali (le torrette) e tutto intorno si estendeva il terreno per circa un ettaro . Le torrette erano la residenza estiva dove la famiglia di mio nonno (mia nonna, mio padre e tre sorelle), si trasferiva dal mese di aprile fino al primo novembre, per poi ritornare all’abitazione principale, nel centro del paese a raccolto concluso.
Nei piani del nonno, una volta cresciuto, il Gelso sarebbe servito a riparare la casa dai raggi del sole e dare un po’ di frescura nei caldi pomeriggi estivi. Sotto il Gelso la famiglia si riuniva per preparare le conserve che sarebbero servite per l’inverno, per fare la salsa, i pomodori secchi, i fichi secchi con le mandorle, e sistemare nelle cassette le verdure appena raccolte da portare al mercato ortofrutticolo.
Negli anni Ottanta il terreno fu espropriato per dare spazio all’edilizia popolare. Le torrette divennero la casa dove nacqui nel 1980. Di quella campagna rimaneva solo il Gelso ma la sua funzione era sempre la stessa, in estate ci riparava dal calore e, come una volta, la famiglia si riuniva alla sua ombra per pranzare. Chissà quante storie aveva da raccontare quell’albero; con i miei cugini giocavamo ad arrampicarci; mio padre appese ai suoi rami un altalena; dopo Pasqua, con gli incarti delle uova e con i teneri e flessibili ramoscelli dell’albero mio nonno costruiva gli aquiloni. E poi vi erano i suoi frutti, bianchi e dolci. Ogni anno, nel mese di giugno, si faceva la raccolta. Mio nonno aveva sospeso delle reti affinché il frutto non cadesse per terra mentre scuoteva i rami con un lungo uncino di legno. Poi si vendevano al mercato o alle gelaterie. I frutti erano pregiatissimi e si guadagnava abbastanza bene. Fu merito della raccolta dell’89 se entrò in casa mia il primo televisore a colori (680 mila lire). Purtroppo il 1989 è anche ricordato per la morte del nonno.
Pian piano tutta la città si andava espandendo verso la periferia e di terreni e giardini intorno alla mia casa non ve ne erano ormai più. Rimaneva solo il Gelso e la sua altalena spinta dal vento a testimoniare la storia di una semplice famiglia del Sud... fino a quando anche mio padre decise di costruire una palazzina proprio lì dove cresceva l’albero. Il Gelso non poteva più stare lì. Fu sradicato ma a ricordo delle famiglie cresciute alla sua ombra, dei giochi e della coesione che si creava intorno a “lui” mio padre ha fatto ricavare dal tronco 4 croci stilizzate che ha regalato a me e ai miei fratelli.
Adesso che sono sposata e vivo a Belluno ho portato questo ricordo nel salone della mia nuova casa. Non posso più affacciarmi al balcone e guardare i suoi rami al vento o le sue foglie illuminate dal sole ma posso ancora vederlo. E ricordare.
Provenienza: Polignano a Mare (Bari), via Palmiro Togliatti - 24, giardino di casa.
Posizione attuale: Belluno , Via dei Molini -7, sala da pranzo della mia nuova casa.
Dai ricordi tramandatimi da mio padre, fu mio nonno a piantare l’albero di gelso, circa 60 anni fa, nell’appezzamento di terreno coltivato a conduzione famigliare. L’albero era posizionato di fronte a due abitazioni rurali (le torrette) e tutto intorno si estendeva il terreno per circa un ettaro . Le torrette erano la residenza estiva dove la famiglia di mio nonno (mia nonna, mio padre e tre sorelle), si trasferiva dal mese di aprile fino al primo novembre, per poi ritornare all’abitazione principale, nel centro del paese a raccolto concluso.
Nei piani del nonno, una volta cresciuto, il Gelso sarebbe servito a riparare la casa dai raggi del sole e dare un po’ di frescura nei caldi pomeriggi estivi. Sotto il Gelso la famiglia si riuniva per preparare le conserve che sarebbero servite per l’inverno, per fare la salsa, i pomodori secchi, i fichi secchi con le mandorle, e sistemare nelle cassette le verdure appena raccolte da portare al mercato ortofrutticolo.
Negli anni Ottanta il terreno fu espropriato per dare spazio all’edilizia popolare. Le torrette divennero la casa dove nacqui nel 1980. Di quella campagna rimaneva solo il Gelso ma la sua funzione era sempre la stessa, in estate ci riparava dal calore e, come una volta, la famiglia si riuniva alla sua ombra per pranzare. Chissà quante storie aveva da raccontare quell’albero; con i miei cugini giocavamo ad arrampicarci; mio padre appese ai suoi rami un altalena; dopo Pasqua, con gli incarti delle uova e con i teneri e flessibili ramoscelli dell’albero mio nonno costruiva gli aquiloni. E poi vi erano i suoi frutti, bianchi e dolci. Ogni anno, nel mese di giugno, si faceva la raccolta. Mio nonno aveva sospeso delle reti affinché il frutto non cadesse per terra mentre scuoteva i rami con un lungo uncino di legno. Poi si vendevano al mercato o alle gelaterie. I frutti erano pregiatissimi e si guadagnava abbastanza bene. Fu merito della raccolta dell’89 se entrò in casa mia il primo televisore a colori (680 mila lire). Purtroppo il 1989 è anche ricordato per la morte del nonno.
Pian piano tutta la città si andava espandendo verso la periferia e di terreni e giardini intorno alla mia casa non ve ne erano ormai più. Rimaneva solo il Gelso e la sua altalena spinta dal vento a testimoniare la storia di una semplice famiglia del Sud... fino a quando anche mio padre decise di costruire una palazzina proprio lì dove cresceva l’albero. Il Gelso non poteva più stare lì. Fu sradicato ma a ricordo delle famiglie cresciute alla sua ombra, dei giochi e della coesione che si creava intorno a “lui” mio padre ha fatto ricavare dal tronco 4 croci stilizzate che ha regalato a me e ai miei fratelli.
Adesso che sono sposata e vivo a Belluno ho portato questo ricordo nel salone della mia nuova casa. Non posso più affacciarmi al balcone e guardare i suoi rami al vento o le sue foglie illuminate dal sole ma posso ancora vederlo. E ricordare.
Localizzazione geografica dell’oggetto
Via Palmiro Togliatti, 24. Polignano a Mare, Ba
Via dei Molini, 7. Belluno, Bl
Ipotesi di allestimento
Via dei Molini, 7. Belluno, Bl
Ipotesi di allestimento
L’oggetto d’affezione presentato è uno scrigno vivo, come vivi sono i ricordi che custodisce. È vivo perché è in grado di adattarsi ai cambiamenti dell’ambiente che lo circonda adeguando la sua forma. L’albero che custodiva i ricordi di famiglia del secondo dopoguerra è, negli anni, diventato un manufatto arricchito dei ricordi della mia infanzia. Ciò che voglio esprimere con il suo allestimento è il senso del mutare dei tempi e
delle forme nonché il tramandare i ricordi (l’immateriale) attraverso la materia. Tutto ciò crea un tendere al futuro e quindi un’aspettativa di ottimismo. Il significato universale intrinseco della croce darebbe, però, all’allestimento una sensazione sinistra che entrerebbe in conflitto con ciò che per me essa rappresenta.
L’ipotesi di allestimento da me progettata prevede una serie di tre fotogrammi. Il primo ritrae una campagna dall’orizzonte libero, in bianco e nero; al centro si erge il Gelso, unico particolare a colori. Il secondo fotogramma ritrae un’area urbanizzata, a colori, con al centro un cortile in cui il Gelso, questa volta, è presentato in bianco e nero. Il terzo fotogramma consiste in un primo piano delle mani di un uomo anziano che porgono il crocifisso alle mani tese di una persona giovane; l’intero fotogramma è in bianco e nero, in dimensioni reali e al crocifisso fotografato viene sovrapposto quello reale con i suoi colori e plasticità.
In questa sequenza il gioco cromatico assume fondamentale importanza perché gli scatti si intendono eseguiti nei momenti in cui il cambiamento è imminente: il bianco e nero rappresenta ciò che sta svanendo, il colore identifica ciò che è attuale. Il Gelso, nelle sue mutevoli forme, è la costante della memoria.
delle forme nonché il tramandare i ricordi (l’immateriale) attraverso la materia. Tutto ciò crea un tendere al futuro e quindi un’aspettativa di ottimismo. Il significato universale intrinseco della croce darebbe, però, all’allestimento una sensazione sinistra che entrerebbe in conflitto con ciò che per me essa rappresenta.
L’ipotesi di allestimento da me progettata prevede una serie di tre fotogrammi. Il primo ritrae una campagna dall’orizzonte libero, in bianco e nero; al centro si erge il Gelso, unico particolare a colori. Il secondo fotogramma ritrae un’area urbanizzata, a colori, con al centro un cortile in cui il Gelso, questa volta, è presentato in bianco e nero. Il terzo fotogramma consiste in un primo piano delle mani di un uomo anziano che porgono il crocifisso alle mani tese di una persona giovane; l’intero fotogramma è in bianco e nero, in dimensioni reali e al crocifisso fotografato viene sovrapposto quello reale con i suoi colori e plasticità.
In questa sequenza il gioco cromatico assume fondamentale importanza perché gli scatti si intendono eseguiti nei momenti in cui il cambiamento è imminente: il bianco e nero rappresenta ciò che sta svanendo, il colore identifica ciò che è attuale. Il Gelso, nelle sue mutevoli forme, è la costante della memoria.
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