Il mio oggetto d’affezione
A dire la verità non mi è venuto in mente subito. Dopo aver letto le istruzioni del workshop ho dovuto pensarci un po’, la mente vagava tra oggetti e ricordi, ma pendendo per lo più verso ricordi molto intimi, e forse poco ascrivibili nella categoria.
Poi è apparso.
“Il giovane Holden” ha fatto ingresso nella mia vita nel Natale 1998.
Avevamo da poco traslocato a Milano centro, prima abitavo a Milano 2. Oltre ad aver lasciato la casa in cui più o meno avevo vissuto la mia infanzia, dovevo anche cambiare scuola, così, tra la seconda e la terza media, con tutti gli sconvolgimenti che ne conseguono, io ancora così timida, l’idea di una classe nuova, a Milano.
Lì, alle medie Parini, ancora in via Goito, all’epoca, ho conosciuto Valentina, che è poi diventata la mia “migliore amica”, poi testimone di nozze, presenza costante e confortante. Ed è Valentina che me lo regalò, il primo dei tanti regali da lei ricevuti. La dedica è forse il primo oggetto all’interno di questo oggetto, che mi riporta indietro nel tempo e nei sentimenti. I morsi del gatto negli angoli della copertina potrebbero forse essere il secondo.
Questo libro, dalla prima lettura che mi ha fatto ridere a crepapelle, mi ha poi accompagnato nella mia vita, solo materialmente ed immaterialmente.
L’ho fatto leggere a mia madre, contagiando anche lei con la passione che era in me nata per questo personaggio con cui riusciva al contempo facile e difficile immedesimarsi.
Poi è stato uno dei libri che la mia prof di italiano del ginnasio, molto poco tradizionale, ci ha fatto leggere. E la copia che conservo riporta ancora i commenti a matita fatti sullo stile letterario di Salinger, perché la prof era molto in gamba e quindi la lettura non era così tanto per leggere qualche cosa di poco tradizionale, ma per analizzare un testo letterario, lo stile, le idee.
E così l’ho letto una seconda volta.
Mi capitava poi spesso di riprenderlo in mano, perché davvero questo libro aveva la capacità di ridarmi il buon umore se ero giù di corda, o semplicemente aveva la capacità di trasportarmi altrove, farmi pensare e ridere, o magari anche piangere. Ne ho comprato la traduzione inglese, perché ormai quasi lo sapevo a memoria ed ero in grado di capire le altrimenti incomprensibili espressioni utilizzate. E questo secondo libro diventa l’appendice del mio oggetto d’affezione, perché oggetto gemello ma anch’esso con una sua piccola storia autonoma.
Quando mi sono trasferita a Siena per l’Università ovviamente l’ho portato con me, ed è così iniziata la sua transumanza. Ad ogni spostamento un po’ lungo, era una delle cose che mettevo in valigia o negli scatoloni.
Il libro è quindi stato a Marsiglia, per ben due volte, vi ha prima fatto un erasmus e quindi la ricerca sul campo per la tesi.
Nel corso del primo viaggio marsigliese il gemello inglese del mio oggetto, il “The catcher in the rye”, ha preso un’altra strada. L’ho dapprima fatto leggere ad un amico franco-americano, che tanto mi ricordava Holden. Appurato di condividere la stessa passione, decisi alla mia partenza di regalargli la parte di me racchiusa nel libro.
L’Holden italiano mi ha poi seguita di nuovo a Milano, poi a Londra, dove si è ricongiunto con una nuova copia gemella inglese (ma diversa edizione), poi di nuovo a Milano, nelle diverse case che ho abitato, quella di mia mamma, quella di via Moretto da Brescia con Giovanni, quella di via Bazzini dove aveva vissuto mia nonna, quella dove abito ora, a Melzo, con mio marito. Il quale, ovviamente, ha letto anch’egli il mio libro d’affezione.
Il gemello inglese
A dire la verità non mi è venuto in mente subito. Dopo aver letto le istruzioni del workshop ho dovuto pensarci un po’, la mente vagava tra oggetti e ricordi, ma pendendo per lo più verso ricordi molto intimi, e forse poco ascrivibili nella categoria.
Poi è apparso.
“Il giovane Holden” ha fatto ingresso nella mia vita nel Natale 1998.
Avevamo da poco traslocato a Milano centro, prima abitavo a Milano 2. Oltre ad aver lasciato la casa in cui più o meno avevo vissuto la mia infanzia, dovevo anche cambiare scuola, così, tra la seconda e la terza media, con tutti gli sconvolgimenti che ne conseguono, io ancora così timida, l’idea di una classe nuova, a Milano.
Lì, alle medie Parini, ancora in via Goito, all’epoca, ho conosciuto Valentina, che è poi diventata la mia “migliore amica”, poi testimone di nozze, presenza costante e confortante. Ed è Valentina che me lo regalò, il primo dei tanti regali da lei ricevuti. La dedica è forse il primo oggetto all’interno di questo oggetto, che mi riporta indietro nel tempo e nei sentimenti. I morsi del gatto negli angoli della copertina potrebbero forse essere il secondo.
Questo libro, dalla prima lettura che mi ha fatto ridere a crepapelle, mi ha poi accompagnato nella mia vita, solo materialmente ed immaterialmente.
L’ho fatto leggere a mia madre, contagiando anche lei con la passione che era in me nata per questo personaggio con cui riusciva al contempo facile e difficile immedesimarsi.
Poi è stato uno dei libri che la mia prof di italiano del ginnasio, molto poco tradizionale, ci ha fatto leggere. E la copia che conservo riporta ancora i commenti a matita fatti sullo stile letterario di Salinger, perché la prof era molto in gamba e quindi la lettura non era così tanto per leggere qualche cosa di poco tradizionale, ma per analizzare un testo letterario, lo stile, le idee.
E così l’ho letto una seconda volta.
Mi capitava poi spesso di riprenderlo in mano, perché davvero questo libro aveva la capacità di ridarmi il buon umore se ero giù di corda, o semplicemente aveva la capacità di trasportarmi altrove, farmi pensare e ridere, o magari anche piangere. Ne ho comprato la traduzione inglese, perché ormai quasi lo sapevo a memoria ed ero in grado di capire le altrimenti incomprensibili espressioni utilizzate. E questo secondo libro diventa l’appendice del mio oggetto d’affezione, perché oggetto gemello ma anch’esso con una sua piccola storia autonoma.
Quando mi sono trasferita a Siena per l’Università ovviamente l’ho portato con me, ed è così iniziata la sua transumanza. Ad ogni spostamento un po’ lungo, era una delle cose che mettevo in valigia o negli scatoloni.
Il libro è quindi stato a Marsiglia, per ben due volte, vi ha prima fatto un erasmus e quindi la ricerca sul campo per la tesi.
Nel corso del primo viaggio marsigliese il gemello inglese del mio oggetto, il “The catcher in the rye”, ha preso un’altra strada. L’ho dapprima fatto leggere ad un amico franco-americano, che tanto mi ricordava Holden. Appurato di condividere la stessa passione, decisi alla mia partenza di regalargli la parte di me racchiusa nel libro.
L’Holden italiano mi ha poi seguita di nuovo a Milano, poi a Londra, dove si è ricongiunto con una nuova copia gemella inglese (ma diversa edizione), poi di nuovo a Milano, nelle diverse case che ho abitato, quella di mia mamma, quella di via Moretto da Brescia con Giovanni, quella di via Bazzini dove aveva vissuto mia nonna, quella dove abito ora, a Melzo, con mio marito. Il quale, ovviamente, ha letto anch’egli il mio libro d’affezione.
Il gemello inglese
In cima alla pagina: I commenti a margine, in classe al ginnasio
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