Thursday 6 November 2008

Federica Museo Leone Vercelli

Stele bilingue
Masso erratico con iscrizione incisa in doppia lingua celtica e latina (I secolo a.C.). Il manufatto fu rinvenuto nel 1960 a est di Vercelli, lungo la sponda sinistra del fiume Sesia. Il testo indica che la pietra era una sorta di segnacolo per indicare il confine di un campo sacro, indicato come “comune agli dei e agli uomini”, posta in un luogo imprecisato ad opera di un tale Acisios, non semplice cittadino, ma titolare di una carica pubblica. La presenza della doppia lingua e la menzione di una carica pubblica amministrativa appartenente ancora ad un’organizzazione celtica del territorio costituisce una preziosa testimonianza del processo di integrazione delle popolazioni indigene, che caratterizzò l’occupazione romana di nuovi territori.
Il testo latino recita:
« Finis
campo quem
dedit Acisius
Argantocomater-
ecus Communem
deis et homini-
bus ita ut lapide [s] IIII
statuti sunt »
Confine
al campo che
diede Acisio
Argantocomatereco
Comune
agli dei e agli uomini
così come le quattro pietre
sono state poste

Il testo celtico si presenta come la traduzione nella lingua indigena di quello latino:
Akisios Arkatoko[k]
materekos toso
kote atom teνoχ
tom koneu

Perché la stele bilingue? Almeno 3 sono i motivi
1) Avendo iniziato a lavorare presso la sezione didattica del Museo Leone di Vercelli solo dal mese di marzo del 2007, la mia esperienza all’interno di questo Museo è in continua formazione. Diverse sono le proposte del Museo al pubblico durante l’anno (al di fuori delle attività didattiche per le scuole), per le quali si preparano vari interventi, visite, percorsi e in occasione delle quali “scopro” ogni volta un oggetto o un angolo nuovi del Museo. Lo “scopro” o perché viene prelevato dal buio dei magazzini o perché ci si deve soffermare a studiarne con attenzione i particolari, anche se gli si è passati davanti innumerevoli volte. Quest’anno a Vercelli nel mese di aprile la stele bilingue, conservata al Museo Leone, è stata la protagonista discussa di un convegno internazionale di Studi dal titolo Finem dare Il confine, tra sacro, profano e immaginario. Ed è proprio al suo fianco che la domenica successiva al convegno ho tenuto la mia prima visita guidata ai reperti celtici conservati al Museo Leone. E’ stata per me un’esperienza molto divertente e di cui sono rimasta soddisfatta.
2) La stele, con la sua iscrizione bilingue, si fa portavoce nel I secolo a.C., in un territorio romanizzato, della volontà di una popolazione indigena di mantenere una propria identità. E quale mezzo migliore e duraturo se non quello di “incidere” sulla dura pietra questa identità, nella lingua indigena come traduzione di un testo latino? Sembra un argomento anche molto attuale!
3) Come poter fare lavorare i ragazzi delle scuole attorno e su di lei?, che è testimonianza della presenza di popolazioni celtiche sul territorio vercellese, assieme a diversi reperti in metallo dell’Età del Ferro conservati in museo: frammenti di cinturoni, torques, bracciali, pendagli, fibule, una cista bronzea,frammenti di un tripode…

1 comment:

ducario said...

La stele è intraducibile perché non abbiamo un vocabolo che significhi contemporaneamente territorio e confine (nella misura in cui sono sul confine, il territorio è finito!).
Forse lo avevano i latini.
Credo che in questo consista il misterioso fascino della pietra.