Oggetto: quaderno di appunti con esterno in pelle
Dimensioni: 21x15x3
In questo quaderno annoto le ricette di cucina che raccolgo quando vado a cena da amici o quando mi riesce particolarmente bene un piatto che riscuote successo.
Il suo posto è in cucina, sopra la cappa, affianco ai libri di ricette, quelli stampati.
Me lo ha regalato mia madre ancora quando studiavo e per lungo tempo l’ho conservato integro aspettando di trovargli la giusta destinazione. E’ uno di quei regali simbolici che mia madre mi fa di tanto in tanto, ai quali io attribuisco un valore affettivo particolare e metto spesso in relazione con dei momenti significativi della mia vita.
All’epoca avevo già altri quaderni di cucina, più di uno, risultato di assemblaggi confusi di fogli volanti, appunti e ritagli di giornale con ricette che mi avevano incuriosito o che avevo raccolto durante i soggiorni di studio all’estero. Una sorta di diario del palato.
Ho iniziato questo quaderno quando ho svuotato le valige e messo radici. Allora mi sono trovata a spulciare tra le ricette che possedevo e, come se stessi facendo ordine nell’armadio, ho scelto quelle che più mi stavano a cuore. Alla fine ho trascritto solo quelle ricette che mi ricordano qualcuno -come il Biancomangiare che mi hanno insegnato ad apprezzare le mie amiche siciliane o gli gnocchi di zucca che ho imparato a fare un una mia cara amica dell’università – o qualche episodio particolare -come la Coppa joyeux noël che ho assaggiato in una gelateria di Arles in un viaggio indimenticabile. In questa azione di riordino dei ricordi mi sono trovata in mano un appunto di mia nonna con una ricetta per le frittelle. Non me ne ha mai fatte di frittelle mia nonna. Nell’indecisione tra buttare o trascrivere l’appunto ora quel mezzo foglio di quaderno a quadretti che sa di elementare è fissato all’inizio del quaderno con una graffetta e ne è diventato parte integrante.
Mettere ordine al quaderno di cucina è stato mettere ordine nella vita, nei ricordi, ma anche operare una selezione nel presente perché tuttora trascrivo solo quelle ricette che ritengo meritino una pagina. Nel tempo ho collezionato ricette, aggiungo varianti che sperimento quando cucino, indico con attenzione passaggi anche già noti e acquisiti, rendendomi sempre più conto che questo quaderno non è per me un semplice repertorio di schede culinarie, ma un filo rosso tra generazioni. Generazioni di donne, che nella mia mente si tramandano le conoscenze di una formula della felicità che passa attraverso l’impastare e lo stare insieme, il creare e il piacere del palato.
In questo ordine simbolico del cibo ci sono però delle contraddizioni che permangono e che tuttavia vi appartengono pienamente; che appartengono pienamente alla mia vita: in primis, l’impastatore per eccellenza è mio padre e non mia madre o mia nonna. Lui da anni non compra più il pane ma lo fa nel forno di casa e nei ricordi d’infanzia l’immagine che ho della festa si associa a quella delle sue braccia, grosse e forti, che impastano la pizza o le tagliatelle all’uovo sul tavolo di cucina. E poi cucino e scrivo pensando a mia figlia, a mio marito, agli amici, ma non mi considero una cuoca. Apro il mio quaderno per fare un regalo e mi concentro sulla sperimentazione più che sul risultato. Dell’arte culinaria mi piace praticare più la dimensione sociale e affettiva che quella alimentare e ho sempre associato la cucina alla mia capacità creativa e pro-creativa.
Dimensioni: 21x15x3
In questo quaderno annoto le ricette di cucina che raccolgo quando vado a cena da amici o quando mi riesce particolarmente bene un piatto che riscuote successo.
Il suo posto è in cucina, sopra la cappa, affianco ai libri di ricette, quelli stampati.
Me lo ha regalato mia madre ancora quando studiavo e per lungo tempo l’ho conservato integro aspettando di trovargli la giusta destinazione. E’ uno di quei regali simbolici che mia madre mi fa di tanto in tanto, ai quali io attribuisco un valore affettivo particolare e metto spesso in relazione con dei momenti significativi della mia vita.
All’epoca avevo già altri quaderni di cucina, più di uno, risultato di assemblaggi confusi di fogli volanti, appunti e ritagli di giornale con ricette che mi avevano incuriosito o che avevo raccolto durante i soggiorni di studio all’estero. Una sorta di diario del palato.
Ho iniziato questo quaderno quando ho svuotato le valige e messo radici. Allora mi sono trovata a spulciare tra le ricette che possedevo e, come se stessi facendo ordine nell’armadio, ho scelto quelle che più mi stavano a cuore. Alla fine ho trascritto solo quelle ricette che mi ricordano qualcuno -come il Biancomangiare che mi hanno insegnato ad apprezzare le mie amiche siciliane o gli gnocchi di zucca che ho imparato a fare un una mia cara amica dell’università – o qualche episodio particolare -come la Coppa joyeux noël che ho assaggiato in una gelateria di Arles in un viaggio indimenticabile. In questa azione di riordino dei ricordi mi sono trovata in mano un appunto di mia nonna con una ricetta per le frittelle. Non me ne ha mai fatte di frittelle mia nonna. Nell’indecisione tra buttare o trascrivere l’appunto ora quel mezzo foglio di quaderno a quadretti che sa di elementare è fissato all’inizio del quaderno con una graffetta e ne è diventato parte integrante.
Mettere ordine al quaderno di cucina è stato mettere ordine nella vita, nei ricordi, ma anche operare una selezione nel presente perché tuttora trascrivo solo quelle ricette che ritengo meritino una pagina. Nel tempo ho collezionato ricette, aggiungo varianti che sperimento quando cucino, indico con attenzione passaggi anche già noti e acquisiti, rendendomi sempre più conto che questo quaderno non è per me un semplice repertorio di schede culinarie, ma un filo rosso tra generazioni. Generazioni di donne, che nella mia mente si tramandano le conoscenze di una formula della felicità che passa attraverso l’impastare e lo stare insieme, il creare e il piacere del palato.
In questo ordine simbolico del cibo ci sono però delle contraddizioni che permangono e che tuttavia vi appartengono pienamente; che appartengono pienamente alla mia vita: in primis, l’impastatore per eccellenza è mio padre e non mia madre o mia nonna. Lui da anni non compra più il pane ma lo fa nel forno di casa e nei ricordi d’infanzia l’immagine che ho della festa si associa a quella delle sue braccia, grosse e forti, che impastano la pizza o le tagliatelle all’uovo sul tavolo di cucina. E poi cucino e scrivo pensando a mia figlia, a mio marito, agli amici, ma non mi considero una cuoca. Apro il mio quaderno per fare un regalo e mi concentro sulla sperimentazione più che sul risultato. Dell’arte culinaria mi piace praticare più la dimensione sociale e affettiva che quella alimentare e ho sempre associato la cucina alla mia capacità creativa e pro-creativa.
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